04 dicembre 2006

London Papers No. 2

Sono più di cent’anni che sto in questo posto. I fiumi che scorrevano in superficie sono stati interrati, come tutti i morti che abbiamo conosciuto durante la nostra vita. Sono centinaia di anni che mi sveglio la mattina e prendo un autobus con un piano di sopra e nessun vicino accanto. Siedo, non parlo, guardo le gocce di pioggia scorrere sul parabrezza superiore e ascolto le cose passare. Siedo e raccolgo immagini. Ne ho da riempire dei libri interi. Figure di persone disperate e felici, di volti orripilanti e bellissimi. Guardo le facciate delle case strutturarsi nell’anarchica successione di vie e i cittadini camminare sui marciapiedi. Potrei essere in qualunque luogo perché non appartengo più a nessun posto, solo disperazione e allegria legano la mia vita.
È un secolo che manco da dove dovrei stare ma, intanto, ci sono cose e idee che nascono e crescono lontano da dove sto. Ci sono tendine sporche alle finestre, suoni di sirene e pianti di donne, parole nelle televisioni, discorsi fra pari, bambini che urlano o tirano calci ad un pallone.
Gli alberi sono sempre gli stessi, loro possono vivere millenni. Regalano solo foglie all’autunno come noi regaliamo concime alla terra. Sono diecine di decenni che cammino su marciapiedi sconnessi e aspetto amici che devono arrivare.
Ogni tanto mi siedo e bevo, perché un uomo ha diritto di scegliere la propria fine. Questa è la vera politica, questo l’obbiettivo da raggiungere. Scegliere come seccarsi oppure stare seduti sul proprio culo ad aspettare che schiarisca il cielo.
Non mi spaventano i secoli che passano, uno vale l’altro. Non mi spaventa il fuggire delle donne, solo una è importante. Non ho paura di diventare vecchio, la vecchiaia sarà solo un’altra faccia di questa pioggia che cade.
Voglio passare un altro secolo così, voglio stare sotto queste gocce che cadono e nascondono le lacrime degli uomini infelici.

O